Sul confine occidentale

Sul confine occidentale della casa c’è un balcone stretto e lungo che respira il mare. Non siamo così vicini al mare, no, ma certe sere sono ammaliate da un vento dolce che porta il suo profumo e lo sferragliare del treno. Sono sere d’estate, soprattutto, languide e un po’ spampanate, in cui il balcone stretto e lungo si fa largo per noi, stanco di stendini e panni stesi.

In queste sere apriamo un tavolo, stretto e lungo anche lui, e lo mettiamo di traverso. Poi quattro sedie, tovagliette, piatti bicchieri e posate. Ceniamo all’aria aperta, godendo del fresco e stupendoci di essere soli.
Dal nostro balcone stretto e lungo c’è una vista tipo La finestra sul cortile, con balconi tutt’intorno.

Terrazze, finestre, affacci di ogni tipo, ma nessuno mangia fuori. Non so se i vicini abbiano tutti l’aria condizionata o siano Visitors in missione per conto di Zio Lucertola, ma noi sembriamo gli ultimi passeggeri del Titanic che brindano in un immenso salone vuoto dalla forma, indovinate?, stretta e lunga. Ceniamo tranquilli, senza fronzoli né televisore, e ci divertiamo lo stesso. Di solito, però, non è così, spesso ceniamo mentre in tivvù programmiamo una serie televisiva, ma fuori, in queste sere d’estate, sul balcone stretto e lungo il televisore non c’entra, e non ce lo vogliamo nemmeno.
E non è che ci sentiamo più famiglia, no. Quello che voglio dire è che lo siamo sempre, anche quando ridiamo insieme alle battute di Joey Tribbiani o Barney Stinson, quando magari abbiamo a pranzo gli amici dei ragazzi e ridiamo solo noi. Forse è da maleducati, magari dovremmo in quel caso spegnere la tivvù e parlare, ma è in quei momenti che sento che abbiamo trasmesso ai ragazzi un sense of humour nostro, un’autoironia salvifica, una spinta leggera ad attraversare la vita senza macigni sul cuore. Probabilmente abbiamo costruito più trame condividendo sorrisi che parole, o forse no. Certo è che qui fuori, sul nostro balcone stretto e lungo, certe sere si sta da dio. Che sono sicuro abbia un gran senso dell’umorismo, altrimenti sai quante diluvi e bombe d’acqua.

Rosa

Rosa, vecchia sporcacciona, come stai? Ma da quanto non ci vediamo, cinque, dieci anni? E come ti sei conciata, quasi non ti riconoscevo! Bionda, col tuppo, sembri una befana! Ma ti sei arrognata con la vecchiaia? Almeno togliti la sciarpa e fatti guardare, Rosa! Rosa? Ro… ncola?… Ha una roncola per tagliarmi la lingua, signora? Una lima per le unghie, un frustino, del cianuro di Potassio che si leghi all’atomo di ferro contenuto nell’enzima citocromo ossidasi inattivandolo irreversibilmente acciocché la gola si intorpidisca, montino ansia, confusione, vertigini, rapidamente soffochi, arrivi liberatorio l’arresto cardiocircolatorio e finalmente, finalmente!, muoia per anossia istotossica, ponendo fine a questa disdicevole, riprovevole, epica e intollerabile figura di merda?

Mani di fata

7.30, con un collega a prendere il primo caffè della giornata che però era un ginseng.
18.10, Google mi chiede informazioni su Centro estetico Mani di fata.
18.11, stupito, chiedo informazioni a una collega che me lo descrive a due passi dal bar di stamattina.
18.15, scrivo a Google che Mani di fata era una rivista di uncinetto che leggevo a sbafo.
18.16, Google: scusa, abbiamo sbagliato.
18.25, Google mi chiede un giudizio, da una a cinque stelle, su Centro estetico Mani di fata.
18.26, mando Google a quel paese, senza passare nemmeno dal via.
18. 27, Google (risentito): SCUSA, MA NON MI SEMBRA IL CASO DI URLARE; E SBATTERE IL TELEFONO SUL SEDILE DELLA CIRCUMVESUVIANA È DA CAFONI.
18.28, chiamo il Centro di assistenza del cellulare.
18.35, chiamo il Centro estetico Mani di fata, magari hanno una convenzione con Google, hai visto mai.

Aglio, col bene che ti voglio

Garlic breath is sexyIeri sera, non so perché, mentre gustavo un piatto di melanzane grigliate ho deciso di mangiare due minuscoli pezzetti d’aglio. Pare che faccia bene, no? Mangiare aglio, intendo.
Comunque, consapevole delle conseguenze, ho lavato con grande diligenza e accuratezza tutta l’arcata dentale e il cavo orofaringeo. Ho prima usato un dentifricio per i denti bianchi, poi un secondo per i denti gialli (che non ho, ma non si sa mai), quindi un terzo per le gengive rosse e ogni altro colore dello spettro. Infine, proprio per scongiurare ogni residuo effetto repulsorio, ho fatto le bolle con un cocktail di Iodosan rosso e Tantum verde, uno schifo assolutamente non paragonabile a un governo giallo-verde ma che gli si avvicina parecchio. Naturalmente mi sono coricato sul fianco e rivolto verso l’esterno del letto, perché l’aglio è traditore e hai visto mai.
Sono contento di non aver preso tutte queste precauzioni invano; la mia cautela, infatti, mi ha consentito un rientro in società senza spiacevoli conseguenze, a parte qualche svenimento in metropolitana. Però c’è un pensiero che mi angustia, a dire il vero, e non sono gli scarti laterali delle genti al mio passaggio, tipo Mosè quando fende le acque, no. È che da qualche minutø, /entre scriv’o, lo schêrmø śi sta ap}panňandô e non riesco a capiřë cosa sțo scriveñðo… quiñdi #&^~><|{… coså sugğerïtę ¥¢€÷>^¿|||||¦¦… una lâvańdà -ğäşțřïca?